Una voce eccezionale come quella di Ewa Podles non poteva sfuggire ad Alberto Zedda. Dopo l’incisione discografica del Tancredi (Naxos, 1994) la loro collaborazione ‑ assai intensa in ambito concertistico e operistico ‑ si è protratta fino a tempi recentissimi. Fu sempre Zedda a far debuttare il contralto polacco al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 2001: un riconoscimento più che meritato per una delle voci rossiniane più autorevoli dei nostri tempi.
A pochi giorni dalla scomparsa di Alberto Zedda, Ewa Podles ci racconta del loro primo incontro e alcuni aneddoti dalla loro lunga collaborazione, con la scherzosa schiettezza che da sempre la contraddistingue.
Ci può raccontare del suo primo incontro col Maestro Zedda?
Ho incontrato per la prima volta Alberto nel 1993, quando era direttore artistico del Teatro alla Scala. Fu lui a chiamarmi per interpretare Tancredi proprio in quella stagione. In quell’occasione il direttore d’orchestra non era d’accordo con l’aggiunta di variazioni e cadenze, che invece sono necessarie nella musica di Rossini, e naturalmente il pubblico le aspetta. Perciò io e i miei colleghi chiedemmo aiuto ad Alberto, l’esperto rossiniano per eccellenza. Egli disse di condividere il parere mio e dei colleghi, e che un problema del genere non sarebbe mai sorto se fosse stato lui a dirigere Tancredi. Tuttavia, avendo il direttore musicale la responsabilità dell’esito dello spettacolo, doveva essere lui solo a decidere anche per quanto riguarda le variazioni. Nessun altro doveva interferire con la sua scelta.
E dopo quell’occasione avete inciso insieme proprio un Tancredi! Quali altre parti rossiniane ha interpretato con Alberto Zedda?
Arsace (Semiramide), Isabella (L’italiana in Algeri), Malcolm (La donna del lago), Melibea (Il viaggio a Reims).
In quale titolo di questi ci fu maggiore accordo tra voi?
Quando facemmo Semiramide in forma di concerto a Bruxelles nel 2001, in forma integrale. Dopo oltre quattro ore di musica, senza il supporto di costumi, scene e decorazioni, il pubblico era così entusiasta della musica che ci ha tributato una standing ovation di quaranta minuti. Difficilmente avremmo raggiunto un risultato tanto intenso senza la direzione di Alberto. Mi è capitato di eseguire Semiramide anche con altri direttori e, sfortunatamente, con tutti questi l’esecuzione finiva per sfiancare il pubblico e gli interpreti.
C’è stato qualche piano che non si è concretizzato? Un invito che lei ha dovuto rifiutare per qualche motivo?
Avevamo in programma una recita in forma di concerto della Figlia del reggimento a Mosca nel 2017, ma per varie circostanze lui cancellò e in seguito ho cancellato anch’io. Date le circostanze non voglio cantare con un altro direttore.
Quali aspetti Le piacevano nel suo modo di dirigere Rossini e di approcciarsi al canto?
Alberto era uno di quei direttori attenti alla melodia, e non solo al ritmo (come invece capita spesso con alcuni direttori). Il suo modo di dirigere non era mai scontato: la musica era permeata dalla sua energia inesauribile e dal suo amore. A volte, durante le prove, diceva a noi cantanti “Maestri, professori, con amore!”. Era capace di trasformare un’orchestra di medio livello in un team che suona con grande ispirazione. Era un partner meraviglioso per i cantanti proprio perché li amava: amava confrontarsi e far musica con loro. Sotto la sua guida mi son sempre sentita al sicuro e comoda: non è facile provare la medesima sensazione con tutti i direttori!
E vi siete mai trovati in disaccordo?
A volte è capitato che la mia visione fosse diversa da quella di Alberto, magari per il modo di eseguire un determinato passaggio musicale, o per la scelta del tempo da staccare. Tuttavia non c’è mai stata tensione personale tra di noi per questo motivo. Lui capiva benissimo che un cantante, e in particolare un cantante maturo, ha le sue ragioni e il ruolo del direttore d’orchestra è quello di accompagnare e assistere, senza dare direttive troppo stringenti.
Ci sarà stato qualche momento divertente…
Sì! Una volta i collaboratori di Alberto inviarono ai cantanti coinvolti in una produzione di Tancredi degli spunti per variazioni e cadenze. Forse lui non ne era al corrente. Erano tantissime pagine! Io avevo già preparato il ruolo e avevo la mia idea, quindi non usai quelle nuove variazioni. Il tenore, però, le usò tutte… e imparò decine e decine di pagine a memoria! Iniziarono poi le prove e venne la volta che Alberto ascoltò anche le variazioni del tenore, e durante l’esecuzione era visibilmente irritato. Alla fine interruppe tutti e chiese chi avesse mai scritto quelle variazioni terribili. Il tenore, terrorizzato, rispose che quelle erano proprio le variazioni che aveva ricevuto dai suoi collaboratori! Alberto, sorpreso, fece un gran sorriso e rispose che se quelle variazioni erano state scritte da lui, allora se ne scusava perché erano senza dubbio un errore della sua giovinezza.
Quando vi siete incontrati per l’ultima volta?
A Pesaro, nell’agosto 2016, quando cantai nel Ciro in Babilonia al Rossini Opera Festival. Alberto e la sua meravigliosa moglie Cristina invitarono me e mio marito a casa loro per pranzo. Come sempre ci divertimmo tantissimo insieme. Parlammo di progetti futuri. Alberto era pieno di energia e sembrava instancabile, immortale…
Giovanni Andrea Sechi