“Era l’estate del 1988 quando abbiamo lavorato insieme per la prima volta. Dovevamo controllare il libretto della Cenerentola e mi hai chiesto di venire una mattina nella tua villa-paradiso, in collina.
Cristina aveva preparato tutto in giardino, con il suo modo speciale e affabilissimo di accogliere le persone e coccolarle. C’eravamo appena messi al lavoro quando sei sobbalzato sulla sedia e con ferocia tonante hai ringhiato: «Cristina, dov’è la mia matita!». Oddio no, sono capitata in mezzo a un’atroce lite coniugale, qui escono i coltelli, dove posso scappare… e invece lei, composta e soave, ti risponde con naturalezza imperturbata: «Dove l’hai lasciata tu, amore». Non ci potevo credere… Non sapevo ancora quale irriducibile argento vivo ti animasse, quanta energia sprizzasse dal tuo assecondare l’esistenza facendola come scivolare nel fragore di una cascata in un precipizio infinito, sempre immerso e appagato, con una capacità di presenza alla vita che supera il senso e il limite del tempo.
Rideresti dei tuoi capricci improvvisi, da discolo ribelle, impunito e già perdonato, che si infiamma per niente, esplode all’improvviso e con la stessa subitaneità si calma. Poi mi hai raccontato che è stata proprio la sua garbata impassibilità, serena e niente affatto distaccata, a farti innamorare di lei, quando tanti anni prima le avevi fatto una gran scenata, minacciando aspramente di andartene dal teatro spagnolo dove Cristina era Direttrice di Produzione, e lei leggera e pacata ti aveva mandato al diavolo fingendo di prenderti sul serio, elegantemente, non solo educatamente.
Se ti chiedessi il favore di leggere queste parole in memoria di una persona non solo molto importante per me, ma di un titano nel mondo della musica quale sei, mi lanceresti il lampo di un’occhiataccia e diresti «Ma no, non va bene, troppo prosaico, lo fai sembrare un matto scatenato» e magari ti agiteresti fino a pestare i piedi per terra.
Ora scusami se le parole più belle che ho trovato per te le hai scritte tu a me, neanche due anni fa, dopo che avevamo accompagnato Paolo Vero, il mio Paolo, al cimitero di Monte Cerignone. Dedichiamole a Cristina.
Il miracolo di un violino amico: trasformare il tutto in un Eden carico di intima emozione.
Il miracolo di una monodia bachiana suonata con amore: farsi tramite di un contatto immediato con l’assente, consentendo l’alto dialogo con lui.
Il miracolo di un uccellino che canta sull’albero sotto cui riposa la salma di un musico: rendere col suono la riposante serenità del silenzio.
Il miracolo di una natura indifferente e bellissima: attenuare il dolore della perdita nell’atarassica percezione della ciclicità della vita.
Il miracolo di una donna forte: trasformare in dolcissimo sorriso l’amarezza del pianto per far diventare più bella la vita.
Dai, troviamoci a cena, tutti insieme. Cercate voi un posto, in questo esilio del poi non c’è, neppure a supplicarlo. Non preoccupatevi, niente acqua a tavola.” Carla di Carlo