Un Festival a Martina Franca

Il Maestro Alberto Zedda assieme al Presidente Franco Punzi e ai Maestri Triola e Luisi al Festival della Valle d’Itria nel 2014, in occasione del conferimento del Premio Celletti

Quando Paolo Grassi mi incaricò di vegliare sugli sviluppi di un festival belcantistico di cui aveva propiziato la nascita a Martina Franca, sua città natale, dovetti constatare, in qualità di concertatore e direttore d’orchestra, quanto fosse improbo per i vocalisti conseguire obiettivi estranei alla cultura melodrammatica imperante. Dopo l’esperienza di un primo anno abbandonai il campo, giacché non in grado di garantire quella congruità che Grassi aveva chiesto di certificare.

Tornai a Martina Franca qualche anno dopo, come Direttore musicale del Festival della Valle d’Itria al fianco di Celletti, Direttore artistico. In comunione d’intenti creammo il primo festival italiano dedicato al belcanto, dove venivano attuati in percentuale apprezzabile i postulati del canto ornato, sorto nelle splendide stagioni rinascimentale e barocca e teorizzato in superbi trattati e in illuminanti prefazioni ai testi musicali che la finezza letteraria di Celletti e l’esercizio operativo del suo Direttore musicale traducevano e interpretavano, anche discostandosi dalla prassi seguita dagli assertori di scelte storicistiche dogmaticamente conclamate.

Il festival di Martina Franca catalizzò l’interesse di quanti andavano discoprendo la ricchezza del patrimonio belcantistico e divenne un centro d’attrazione e di studio per tanti giovani talenti che trovavano in quel repertorio l’occasione per esprimere la propria personalità d’artista.

L’attrattiva di quegli spettacoli non sorgeva soltanto dalla restituzione irreprensibile del coefficiente vocale; altri aspetti dell’etica belcantistica vi trovavano adeguata attenzione: il rispetto filologico del testo e delle strutture, e dunque la loro intangibilità; l’adozione nella prassi esecutiva di pertinenti variazioni e cadenze, affidate al ponderato arbitrio dell’interprete; il ricorso a pagine alternative o sostitutive venute a far parte di una tradizione autenticata dal documentato consenso del compositore; il rispetto di un universo sonoro alieno dagli eccessi del tardo Romanticismo e del Verismo, quindi del grido viscerale e della sottolineatura superflua.

Nacquero interpreti in grado di corrispondere con proprietà alle domande del repertorio belcantistico, taluni assurti alla qualifica divistica che da sempre compete ai grandi cantanti del genere, quali Mariella Devia, Anna Caterina Antonacci, Daniela Dessì, Lucia Aliberti, Martine Dupuy, Sara Mingardo, Ruggero Raimondi, Simone Alaimo, Pietro Spagnoli, e un largo etc. La concertazione musicale teneva conto della rilettura belcantistica, e opere quali I Capuleti e i Montecchi, I Puritani di Bellini, il Fra Diavolo di Auber, L’incoronazione di Poppea di Monteverdi suonarono inusuali per il recupero di pagine da sempre tagliate, per la presenza dell’ornamentazione vocale ignorata dalla tradizione tardo-ottocentesca e per il taglio virtuosistico impresso all’intero spettacolo.

In quegli stessi anni trascorrevo un mese estivo nella città di Pesaro, lavorando l’intera giornata alla Fondazione Rossini con Philip Gossett e Bruno Cagli, componenti insieme a me il Comitato Editoriale che stava avviando l’immane progetto di pubblicazione in edizione critica di tutte le opere di Gioachino Rossini (i due primi titoli della collana furono La gazza ladra, a cura di Alberto Zedda, nel 1979 e Tancredi, a cura di Philip Gossett, nel 1984).

L’approfondimento ermeneutico iniziato a Milano con l’avventura dei Cadetti della Scala e proseguito a Martina Franca, dove di Rossini avevo diretto la prima esecuzione moderna dell’Adelaide di Borgogna e la prima integrale della Semiramide, ha molto giovato, nella fase di decrittazione dei manoscritti originali propedeutica alla stesura di irreprensibili partiture d’orchestra e dei relativi apparati critici, a ritrovare lo spirito delle origini.

La riflessione congiunta del musicista militante e del musicologo ha consentito di ridisegnare una prassi esecutiva fededegna, capace di discernere i dati fondanti di una tradizione storicista da conservare e insieme di aprirsi agli apporti migliorativi introdotti dalla successiva esperienza esecutiva.

Alberto Zedda

© Zedda-Vázquez