Definiamo barocca la civiltà sorta dagli opposti rigori della Controriforma e dell’Illuminismo: per questo “barocco” è sinonimo di libertà formale, di fantasia creativa, di sorpresa, meraviglia, stravaganza, bizzarria, trasgressione, termini che suonano dolci all’orecchio del contemporaneo in lotta col grigiore della meccanizzazione e della mondializzazione. L’accresciuto interesse della critica e del pubblico nei confronti del teatro musicale proto-barocco induce a chiedersi perché questo genere di melodramma non appaia regolarmente nei teatri del circuito lirico .
La ragione principale risiede nella filosofia che sinora ha presieduto alla sua riproposizione: molti teorici e musicisti che si occupano dell’opera barocca ritengono necessaria una rigorosa storicizzazione della prassi esecutiva per rendere percepibile e cattivante il messaggio. Gli integralisti sostengono che il solo modo di interessare il pubblico di oggi è quello di riportare gli spettacoli alla condizione originaria, ritrovando suono, canto e gestualità dell’epoca e focalizzando la ricerca filologica al recupero di un’autenticità smarrita.
Un assunto da dimostrare. Quando si arrivasse a ricostruire in modo fededegno il mondo sonoro seicentesco, si dovrebbe verificare se il risultato sia ottimale per un ascoltatore che ha stratificato conoscenze e acquisito chiavi di lettura sconosciute alla cultura barocca. Il suono ritrovato non si diffonde negli spazi raccolti di saloni patrizi o dei piccoli teatri privati, ma in vasti ambienti che hanno perduto la calda vibrazione del legno, sostituito dal gelido cemento armato.
Se il postulato fosse valido, quel criterio interpretativo andrebbe applicato a tutte le opere di autori non a noi prossimi, da Händel a Bach, da Mozart a Beethoven, da Haydn a Rossini, giacché qualche decennio in più o in meno non può cambiare radicalmente i termini della questione. Si dovrebbe concludere che le Sinfonie di Beethoven eseguite dai Berliner Philharmoniker o le Sonate toccate allo Steinway, tanto diverse nel suono da quelle ascoltate dai contemporanei, sono una contraffazione non in grado di farci intendere l’essenza autentica del messaggio.
Lo sforzo di portare il linguaggio dell’autore a quello dell’ascoltatore deve potersi ragionevolmente applicare anche al repertorio proto-barocco. Il problema è dunque come attualizzare la partitura barocca senza venir meno al dovere imprescindibile di non tradire la sua specificità; come toglierla all’elitarietà di festival specialistici e occasioni celebrative per inserirla nel repertorio corrente dei teatri lirici; come sottrarla al collezionismo discografico e diffonderla a un pubblico che ne uscirebbe affinato nel gusto e arricchito nello spirito.
Prima ancora che la prassi esecutiva, questo problema coinvolge musicologia e filologia poiché nasce dalla natura dei manoscritti che tramandano i testi da recuperare. Tali manoscritti sono di norma la traccia di partiture mai scritte per esteso e presentano soltanto la parte del canto col relativo Basso generale. Solo Ritornelli e Sinfonie aggiungono al Basso una realizzazione strumentale a tre, quattro o cinque voci dove quasi mai viene indicato il nome dello strumento destinato a eseguirle: sintesi di un discorso forzatamente più ampio che pretende l’intervento di un musico che sappia dare veste sonora agli avari segni, cogliendone gli impliciti suggerimenti. Un testo aperto, dunque, simile a quello di tanta musica aleatoria dell’avanguardia novecentista alla quale il momento rivoluzionario e innovativo dell’esplosione barocca straordinariamente si ricollega.
Queste partiture, accuratamente descritte da Agostino Agazzari in un aureo trattatelo dell’inizio del Seicento, “Del sonare sopra il Basso con tutti li stromenti e dell’uso loro in Conserto”, presuppongono l’intervento di un concertatore che completi la lezione sintetica del manoscritto in modo pertinente a favorire le migliori condizioni d’espressione e d’ascolto. La prima regola filologica da seguire, ancorché relativa, è dunque quella di integrare le essenziali indicazioni del manoscritto in modo da non alterare la specificità stilistica dell’opera. Aiutano numerosi esempi documentari dai quali derivare nozioni sul come provvedere al canto un accompagnamento strumentale in linea con la prassi dell’epoca. In maggioranza essi suggeriscono procedimenti di genere polifonico-imitativo, orizzontali e contrappuntistici, limitati a pochi strumenti, in trasparente dialogo con la voce dove la parola rimanga chiaramente percepibile, proprio come raccomandato dall’Agazzari.
In situazioni cameristiche o in sede di registrazioni meccanografiche, dove microfoni ipersensibili conferiscono agli strumenti presenza e spessore artificialmente regolabili, anche i pochi strumenti impiegati nei seicenteschi teatrini veneziani sono sufficienti a restituire all’opera l’incanto che rattiene e all’accompagnamento della voce il peso adeguato. Trasferendosi in ambienti ovattati dalla presenza di tanti spettatori, l’esigenza di accrescere i volumi e di variare i timbri strumentali appare ineludibile, specie per opere di lunga durata e di largo respiro.
L’integrazione strumentale è oggi accolta e praticata da molti accreditati interpreti del melodramma proto-barocco, che mantengono però un atteggiamento storicistico riguardo ad altri aspetti della pratica interpretativa quali la scelta degli strumenti e delle voci. Troppi ancora ritengono che l’impiego dello strumento antico (o, meglio detto, della sua adattata ricostruzione) sia indispensabile per garantire un corretto approccio all’autenticità. Troppi pensano che la voce artificiale del contraltista (impropriamente definito contro-tenore) possa sostituire la voce perduta del castrato (che era voce naturale, non artificiale come quella dei moderni falsettisti) o che un canto povero di vibrato e di timbro, una voce con suoni sbiancati e esangui meglio corrispondano alle esigenze stilistiche della vocalità barocca.
Non sta nel timbro di uno strumento la chiave per penetrare nel mondo sonoro seicentesco, dove la strumentazione era elemento esornativo e secondario da adattarsi alle esigenze di rappresentazioni sempre diverse, ma in “ciò” che lo strumento deve suonare e “come” deve eseguirsi. L’esecutore di uno strumento moderno che conosca suono e tecnica di emissione del suo equivalente barocco, oltreché i principi basici della prassi esecutiva del tempo, sarà in grado di avvicinare l’autenticità assai più che un poco motivato esecutore di strumento antico, purché la parte che gli viene proposta si muova nell’ambito del contrappunto modale piuttosto che in prospettive armoniche appartenenti alla cultura musicale sette-ottocentesca. Del pari, un cantante di bella e ricca voce e di corretta pronuncia potrà piegare la sua emissione alle emozioni richieste dal drammatismo barocco senza venir meno alla compostezza e alla misura di un canto lontano dagli eccessi dell’enfasi e della retorica.
Si tratta, in conclusione, di seguire la via di un pragmatismo intelligente, orientato da conoscenze specifiche e da uno spirito musicologico aggiornato, in opposizione a quanti ritengono possibile estraniarsi dalla contemporaneità nell’illusoria ricerca di un mondo perduto.
Per conseguire questi risultati, il Festival proposto , dedicato agli eventi musicali che si susseguono in Italia e Spagna fra la fine del Rinascimento e l’affermarsi del Barocco, non può essere soltanto una rassegna di spettacoli. La necessità di rivisitare e trascrivere manoscritti inediti obbliga a un’operazione musicologica di grande respiro che troverà naturale collegamento in istituzioni accademiche e universitarie.
Idee per l’organizzazione produttiva e amministrativa del Festival
Il teatro proto-barocco seicentesco si articola in trame complesse, dove l’azione principale si interseca con storie secondarie che richiedono l’intervento di molti personaggi. Ciascuno di loro ricopre ruoli brevi, anche se impegnativi. Il più delle volte rivolgersi ai grossi nomi della lirica per interpretarli si rivelerebbe un lusso inutile. Questo repertorio offre dunque l’occasione rara di impostare la scelta degli interpreti vocali nell’ambito dei giovani talenti emergenti, ai quali richiedere, oltre a una credibile figura, una buona recitazione, una dizione chiara e significante e una formazione tecnica e del gusto di stampo belcantistico, qualità frequenti da incontrare nei cantanti delle ultime leve.
Una politica dei giovani, oltre che meritoria, consente di radunare compagini numerose e qualificate a costi contenuti. Poiché ciascuno dei molti personaggi interviene soltanto in momenti del dramma, è possibile programmare con gli stessi cantanti una seconda opera, dimezzando i costi della spesa artistica.
Questa opzione comporta altre scelte organizzative, possibili soltanto con questo tipo di repertorio. Le due opere selezionate possono venir montare contemporaneamente e nello stesso spazio a condizione che l’impianto scenico di base sia comune ai due allestimenti e non comporti l’obbligo di smontare e rimontare la scena prima di ogni prova. Si necessita così una sola squadra di macchinisti, di attrezzisti, di maestri collaboratori, etc., con l’evidente vantaggio di dimezzare i costi dell’allestimento e di gestione.
Per rendere possibile la doppia produzione è opportuno ricorrere a un unico scenografo e a un unico regista, o a persone fra loro in sintonia. Considerata la rilevanza che nel repertorio teatrale barocco riveste la parte visiva , e tenuto conto delle servitù comportate dalla formula di produzione sopra descritta è vantaggioso puntare su registi che siano al tempo stesso scenografi e costumisti.
In questo modo è possibile preventivare un festival di grandi ambizione e consistenza con una previsione di spesa inferiore ai centocinquanta milioni di pesetas, un costo contenuto, dove il rapporto spesa-produzione risulta straordinariamente ottimale.
La struttura del Festival consentita da questo investimento include:
- Due opere liriche (o un’opera e una zarzuela) protobarocche.
- Un Oratorio (o un Intermedio, o uno spettacolo coreografico)
- Due o tre concerti di Cantate e Musica strumentale
- Una serie di incontri di studio e di conferenze organizzate con Istituzioni accademiche: Università, Istituti di musicologia, Centri di filologia musicale , organizzazioni culturali interessate al Barocco, etc.
Un festival di questa tipologia, “A vagheggiare Orfeo”, è stato sperimentato in due edizioni al Teatro della Fortuna di Fano, interrottosi quest’anno per il cambio intervenuto nel governo della città. L’esperienza ha comprovato la fattibilità e la congruità economica di un progetto che per l’originalità della formula organizzativa e per l’importanza dell’assunto musicale e musicologico corrisponde alle attese del momento.
Alberto Zedda