Non ho titoli sufficienti per portare un contributo specifico, ma sono qui per capire se la musica ha qualche funzione da svolgere, in questa appassionata ricerca di una identità umana, messa in discussione tanto da chi vorrebbe ridurla a una serie di cause ed effetti scientificamente dimostrabili quanto da chi la ritiene riproducibile in una macchina inanimata. La funzione che meglio distingue l’homo sapiens dall’animale e dall’automa artificiale è il linguaggio, inteso non solo come sistema di segni e di funzioni per veicolare informazioni e per reagire allo stimolo di sensi e sentimenti, ma come interpretazione critica delle sollecitazioni neuronali, alla ricerca di quella verità che dovrebbe essere il fine ultimo dell’homo loquens. Il linguaggio è creatività, libertà, giudizio morale, e trova nell’idea innata il supporto semantico per contraddire e superare la risposta corretta a una sollecitazione sensoriale. Resta da capire se l’idea innata che entra nel cerebro con la nascita della vita sia stata insufflata da uno spirito divino, che con questo regalo avvelenato ha innalzato l’uomo alla sua onnipotenza nello stesso momento in cui gli svela la sua finitezza mortale, o sia essa stessa un prodotto dell’evoluzione entrato nel codice genetico inscritto nel DNA.
Se anche la musica potesse ascriversi con qualche diritto nella categoria dei linguaggi, non v’è dubbio che la sua correlazione con l’attività del cerebro sarebbe facilmente attivabile e non potrebbe esistere strumento migliore per interferire e dialogare con esso, sia a scopo terapeutico, sia per arricchire e potenziare gli aspetti fantastici e creativi del mondo onirico evocato dallo spirito. Per questo è importante definire la natura della musica. L’assunto di partenza, arrivare a considerare la musica come linguaggio, sembra trovare una risposta negativa nel fatto che il lessico che impiega il musicista è composto da vocaboli sostanzialmente asemantici, dunque astratti e indeterminati. Nessuno dei tre componenti fondanti della musica, ritmo, melodia, armonia, ha “in sé” la peculiarità di generare emozioni e sentimenti traducibili in concetti universalmente condivisi, in immagini razionalmente descrivibili, utili a una confrontazione dialettica.
Se tuttavia si considera che il suono, l’elemento con cui la musica si esprime, è stato la base del linguaggio umano, la sua prima manifestazione, il suo stadio primordiale, non si può non riconoscere al pre-linguaggio costituito dall’aggregazione dei suoni voluto dall’uomo un suo autonomo valore semantico, diverso da quello utilizzato dall’homo sapiens, ma nato e cresciuto con esso, consustanziale al suo processo evolutivo.
La constatazione scientifica che il suono è regolato da leggi naturali che hanno relazione coi numeri della matematica e della fisica, ma anche con l’ermeneutica di significazioni magiche e di calcoli esoterici, gli assicura comunque una funzione di metalinguaggio indiscutibile. Da sempre, per esempio, il modo minore evoca malinconia, tristezza, nostalgia amorosa e il modo maggiore accende entusiasmi, celebra vittorie, afferma certezze.
Nel corso della sua storia, l’uomo ha organizzato il suono in molte maniere, dando origine a vari tipi di musica, per rispondere a sollecitazioni di natura diversa. Il suono ha favorito la socializzazione rendendo possibile il raggiungimento di obiettivi altrimenti preclusi: una scansione ritmica programmata ha consentito a una plebe dotata di strumenti rudimentali di trascinare al culmine le immense pietre della piramidi e dei templi; le nenie ossessive dello sciamano hanno accompagnato i riti collettivi; le scansioni dionisiache hanno movimentato le danze e ridestato il valore. A queste prime manifestazioni strettamente correlate all’istinto ha fatto seguito l’invenzione della melopea, una melodia che accompagnata alla parola ha dato risalto alla preghiera, alla recitazione teatrale, alla declamazione poetica, alla celebrazione olimpica. Il popolo ha presto imparato a raccontare, nella coralità di un canto monodico semplice e facilmente orecchiabile, le pene del vivere, la fatica del lavoro, la rabbia contro il potente che l’opprime, la protesta contro l’ingiustizia; il Principe ha chiamato a corte il menestrello per cantare l’amor cortese e intrattenere i commensali.
Col sorgere del secondo millennio dell’era moderna nasce una musica complicata e dotta, che nell’intrico di voci che si inseguono e si sovrappongono smarrisce la percettibilità della parola cantata e si sottrae alle regole naturali che governano l’alternanza di consonanze e dissonanaze, scompaginando le certezze dei teorici. Una musica difficile, fatta da chierici per i chierici, destinata a una fruizione elitaria. Per reagire a questa fuga dal quotidiano e nello stesso tempo per non disperdere le conquiste di una musica fattasi ricca e significante, i dotti fiorentini della Camerata de’Bardi hanno riportato in auge la cultura del mousikós anér greco e inventato, col melodramma, una forma di canto che non soltanto consentisse alla parola di essere chiaramente intelligibile, ma che fosse in grado anche di caricarla di nuovi sensi espressivi, di illuminarla di nuovi significati simbolici. La scoperta dei fiorentini pose le basi per una diffusione inimmaginabile della musica colta occidentale, che toccò il culmine nell’ubriacatura operistica di fine ottocento.
Al musicista colto e esigente del ventesimo secolo, questa popolarizzazione parve frutto di una compromissione limitatoria consumata a danno della nobiltà di un arte che vuole capace di rivaleggiare con qualunque altra manifestazione del pensiero. Rivendicando una totale libertà creativa, e dunque rifiutando i condizionamenti delle leggi fisiche che regolano i rapporti sonori e quelli della tradizione, il compositore della Neu Musik é tornato a distillare musica difficile e complicata, deliberatamente rifiutando il facile consenso del pubblico, per affermare il diritto della musica a trattare da pari a pari con la letteratura e la metafisica i grandi temi dello spirito. Molte pagine della musica contemporanea presuppongono una ricerca strutturale e linguistica di tale elaborata complessità che é difficile negar loro la qualificazione di vero e proprio linguaggio.
Che interazione può avere questo linguaggio con quello della parola, quale tipo di influenza con i centri neuronali che regolano la linguistica? Questo tipo di musica sta alla musica popolare e di consumo come il linguaggio poetico sta a quello prosastico di uso quotidiano. La deformazione poetica cambia il significato della semantica innata sino a creare un linguaggio nuovo. E pur tuttavia rimane linguaggio. Perché alla musica dovrebbe essere negata questa qualità? Forse soltanto perché non abbiamo educato a sufficienza il cerebro ad assumerla? Eppure il suono musicale dovrebbe albergare di diritto fra le idee innate…. Avendo preceduto la nascita del logos, potrebbe aiutare a sondare l’inconscio, il subcosciente, il simbolico che abita l’esperienza prenatale….
Sul fronte meno ambizioso delle musica non impegnata, la musica autenticamente popolare si è ridotta alla conservazione di un patrimonio di etnomusicologia solo saltuariamente vivificato da fenomeni autenticamente popolari, come il jazz, lo spiritual, la canzone patriottica. Prevale una musica di consumo, anche pregevole, che riempie ogni angolo abitabile, cancellando in modo indecente la pratica del silenzio, tanto indispensabile alla meditazione e alla riflessione. Del resto anche una musica di consumo ben confezionata può assolvere funzioni importanti. Serve per interrompere la tensione del pensare; per staccare la spina dalla preoccupazione e favorire un completo rilassamento; per coprire il rumore della città. Ma anche, al contrario, una buona musica aiuta a rimontare stati di abulia, di depressione, di stress. La musica si fissa nella memoria in modo più facile e duraturo della parola.
Ricordo l’esperimento dello scienziato giapponese che dopo aver fatto ascoltare musica all’acqua, la congelava sino a ridurla in cristalli che studiava al microscopio. La musica di Mozart determinava cristalli diversi da quelli di un brano di jazz…La musica diventa dunque memoria. Resta in memoria solo il diagramma prodotto dalla vibrazione fisica o anche la rete significante che muove il sentimento? Come non pensare che anche noi in gran parte siamo fatti di acqua….
Per finire, una riflessione non musicale: Craig Venter, pioniere del sequenziamento del genoma umano, ha creato un cromosoma artificiale per completa sintesi chimica. Si chiama Mycoplasma laboratorium ed è composto di 381 geni sintetici e di 580.000 coppie di base e consente di passare dalla lettura del codice genetico alla capacità di scriverlo. Inserito in una cellula vivente (privata del materiale genetico) da origine a una nuova forma di vita, di una specie del tutto nuova, in grado di replicarsi e di sintetizzare tutte le macromolecole necessarie per il proprio metabolismo. Se ne può fare un uso positivo, come creare nuove fonti di energia o creare batteri capaci di rimediare ai disastri del Prestige, ma l’ingegneria genetica può scatenare un potenziale immenso, superiore anche a quello liberato dalla fissione dell’atomo…..
Cosa significa per il filosofo creare nuove forme di vita in provetta? Quale impatto potranno avere forme di vita artificiale quando entreranno in contatto con gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta? Sarà comunque importante avviare, in parallelo con questi grandi progressi della scienza, lo sviluppo di una cultura, di una filosofia e di una bioetica che arrivino a controbilanciare e a controllare queste forze che, lasciate libere, potrebbero diventare perverse.
Alberto Zedda