“La mia concezione della direzione artistica di un grande teatro lirico prevedeva di spendere la gran parte del tempo non negli uffici della segreteria artistica, ma nelle sale di prova e di spettacolo, seguendo e controllando giorno dopo giorno il progredire della preparazione artistica, attento a cogliere il minimo segnale che potesse guidare a interventi migliorativi o a fiutare una latente situazione di pericolo, da eliminare prima che si manifestasse apertamente.”
La mia nomina a direttore artistico avvenne il 30 marzo 1992; pochi giorni prima, il 17 febbraio, l’arresto di Mario Chiesa, accusato di malversazione a danno del Pio Albergo Trivulzio, aveva dato avvio a Tangentopoli, la stagione degli scandali di corruzione che ha destabilizzato la prima Repubblica e sconvolto la Milano socialista. Ogni iniziativa rimase paralizzata, ogni decisione importante rimandata. L’Accademia scaligera stentò a concretarsi per l’irreperibilità della sede promessa; progetti importanti avviati con Karlheinz Stockhausen, Bob Wilson, Balthus, Giorgio Strehler, Claudio Abbado, Lorin Maazel vennero accantonati; il rinvio sine die della riforma strutturale del palcoscenico aggiunse nuova delusione.
Irrealizzabili gli obiettivi che avevano motivato il mio incarico, la funzione di direttore artistico aveva perso per me ogni ragion d’essere. La lettera di dimissioni del 13 ottobre 1993 recitava: «Non sono venuto alla Scala per occupare un prestigioso posto vacante, ma per fare alcune cose che credo importanti perché riguardano il futuro, lo sviluppo, il nuovo. […] Il direttore artistico dovrebbe anzitutto assolvere il compito di assicurare al teatro il necessario ricambio di idee e l’opportuno aggiornamento artistico e musicologico. I progetti che intendevo realizzare rappresentano il naturale proseguimento di iniziative che mi hanno visto protagonista lungo tutto il corso dell’esistenza e che avrebbero trovato alla Scala lo sviluppo ideale”.