Pressbook ROF 2004

Nel cartellone della XXV edizione del Rossini Opera Festival spicca Elisabetta, regina d’Inghilterra, un titolo da sempre considerato significante nella biografia del compositore pesarese.

Per molti musicologi l’Elisabetta apre la fertile stagione napoletana con una svolta che accentua una vocazione drammatica latente. Affermazione arrischiata, considerato che la più gran parte della musica di Elisabetta deriva, con pochi aggiustamenti, da opere composte in precedenza. Per alcuni teorici della vocalità, in quest’opera Rossini sarebbe arrivato finalmente a definire i tratti precipui del suo canto, limitando all’interprete la libertà di aggiungere le fiorettature e ornamentazioni estemporanee d’uso con l’imporgli una scrittura florida e minuziosamente colorita.

Altra tesi difficile da sostenere quando si confronti il lessico vocale di Elisabetta con quello delle opere che l’hanno preceduta, incluse le primissime, e ancor più quando si abbia presente che molte pagine di quest’opera provengono da lavori precedenti, ripresi senza sostanziali modifiche.
Si deve probabilmente al clamoroso successo decretatole dal pubblico napoletano un’altra anomalia riscontrabile nei comportamenti degli esegeti rossiniani: l’Elisabetta d’Inghilterra viene considerata opera autonoma a pieno titolo e mai definita centone o pastiche, gli appellativi riservati a opere costituite con pezzi provenienti da altri lavori. Il rispetto che da sempre circonda questo titolo nasce certamente dalla sua intrinseca bellezza, posto che i pezzi scelti da Rossini per compendiare l’opera, giustamente preoccupato di conquistare il favore di un pubblico che l’avrebbe accompagnato per molti anni a venire, sono fra i migliori da lui composti.
Un indizio lascia comunque trasparire il ruolo capitale rivestito dall’Elisabetta nel percorso creativo del giovane maestro: per la prima e unica volta Rossini riscrive ex novo le pagine di partitura che decide di trasferire nella nuova opera, senza limitarsi a consegnare al copista quelle precedentemente tracciate. Ciò comporta un ulteriore approfondimento del processo compositivo, e propizia una serie di modifiche migliorative, soprattutto per quanto concerne la veste strumentale, che allontana il sospetto di utilizzazione cinica e utilitaristica che sovente suscita il ricorso all’autoimprestito e alla parodia. Constatato che Rossini ha dedicato a questo lavoro di ricopiatura un tempo maggiore di quello che avrebbe richiesto la stesura di un’opera interamente nuova, ci si deve interrogare sulle ragioni di questa scelta.

Ritengo che Rossini, dopo aver composto a ritmo vertiginoso una sequela impressionante di farse e di opere comiche, serie e semiserie, secondo richieste di una committenza difficile da condizionare per un giovane intorno ai vent’anni, investito da un incarico prestigioso che gli dava per la prima volta piena autorità di scegliere il repertorio da presentare al pubblico, abbia sentito improcrastinabile l’esigenza di una pausa di riflessione.
In quella pausa così insolita, ripensando le ragioni profonde delle opere composte, Rossini deve aver maturato gli orientamenti artistici da perseguire nel nuovo incarico. Da quella meditazione nasce forse la decisione di allontanarsi dall’opera buffa per dedicarsi interamente al genere drammatico, affrontato con atteggiamenti d’autentico riformatore.
Se davvero l’Elisabetta d’Inghilterra è stata chiave di volta di questa svolta, si può ben comprendere l’aureola che la circonda.

Al regista Daniele Abbado, per la prima volta al ROF, al direttore Renato Palumbo, chiamato a riconfermare il successo dell’anno scorso in Adina, a una giovane e brillante compagnia capitanata da Sonia Ganassi (ormai avviata a colmare la lacuna che rende problematica la restituzione dei mitici ruoli “Colbran”), con Mariola Cantarero, Antonino Siragusa, Bruce Sledge, è affidato l’allestimento di questa nuova edizione critica della Fondazione Rossini.

Matilde di Shabran, seconda opera programmata in nuovo allestimento (coprodotto con il Teatro San Carlo di Napoli), presenta non minori elementi d’interesse.

La misteriosa bellezza di questa partitura, densa di pezzi d’assieme non convenzionali, rende difficile cogliere l’equilibrio fra la vena seria, resa da una musica d’alto respiro e ispirazione, e quella giocosa pretesa da un libretto dove ironia e sarcasmo devono dar nerbo a una vicenda farsesca di grana non eccelsa. L’opera segna il ritorno di Rossini al genere semiserio, un termine quanto mai appropriato per un lavoro lontano dall’esperienza dell’opera buffa concepita a Venezia nella prima giovinezza quanto da quella sperimentata a Roma col Barbiere di Siviglia e La Cenerentola.
Sotto questo aspetto non v’è dubbio che Matilde contenga elementi di novità ancora da mettere a fuoco.
Gli interpreti vocali sono impegnati in ruoli di difficoltà estrema, ma fra i maschili solo quello del poetastro Isidoro ha arie solistiche: il protagonista Corradino (forse il ruolo più oneroso assegnato da Rossini a un tenore), Aliprando, Ginardo, gareggiano in una girandola di fuochi d’artificio vocali, ma sempre nel contesto di ampli concertati, senza la gratificazione di un brano tutto per loro.
Il regista Mario Martone, anch’egli per la prima volta a Pesaro, deve dare immagine alle smargiassate di Corradino, precursore del Comte Ory nelle iperboliche aspettative sgonfiate dalla scaltrezza femminile, e, come nel Comte Ory, innalzare la banalità dell’assunto a un gioco di rimandi intelligenti e trasgressivi. Lo asseconderanno una compagnia di giovani stelle che fanno contorno a Juan Diego Flórez: alcune attesissime debuttanti al ROF, come Annick Massis, Hadar Halevy, Chiara Chialli; altre ospiti abituali del certame rossiniano, come Marco Vinco, Bruno De Simone, Carlo Lepore. Dirigerà Riccardo Frizza, già gradito ospite del ROF per Il Turco in Italia e lo Stabat Mater.

Come terza opera programmata, torna l’ultimo acclamato Tancredi di Pier Luigi Pizzi, riallestito, in collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino, nel nuovo spazio del Palafestival. Tancredi, tragedia di un amore tanto profondo da non riuscire a esprimersi, si conferma uno dei titoli rossiniani più frequentati: fatto di grande rilievo quando si consideri che quest’opera più d’ogni altra assume incondizionatamente il particolarissimo codice estetico del Pesarese.
Il ruolo del titolo sarà interpretato questa volta da Vesselina Kasarova, l’indimenticabile interprete della Cenerentola ronconiana di qualche anno fa. Completano il cast noti beniamini del Festival: Patrizia Ciofi, Marianna Pizzolato, Gregory Kunde, guidati dall’affermato Victor Pablo Perez, direttore stabile dell’Orquesta Sinfónica de Galicia che anche quest’anno affiancherà l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, l’Orchestra del Festival e il Coro da Camera di Praga nella realizzazione degli spettacoli.

Per la collana dedicata ai compositori contemporanei di Rossini è stato scelto il dramma eroi-comico Il trionfo delle belle di Stefano Pavesi. Si tratta dello stesso soggetto della Matilde di Shabran, condensato in una stesura librettistica stringata probabilmente presa in considerazione dallo stesso Rossini prima di optare per un’opera di maggiori dimensioni. L’accostamento di opere orientate dalla stessa ispirazione letteraria renderà ancor più interessante il raffronto fra protagonisti della scena lirica del primo Ottocento. L’edizione condotta sulle fonti manoscritte è stata curata dagli allievi del corso di filologia applicata del Conservatorio Rossini di Pesaro tenuto da Marco Beghelli e viene ad aggiungere un ulteriore tassello a una collaborazione fra istituzioni che si vuole sempre più pregnante.

Il ricco cartellone di questa XXV edizione annovera ancora la Cantata Il vero omaggio, composta da Rossini su incarico dell’amico e estimatore Metternich nell’occasione del Congresso di Verona (ritroveremo nel concertato finale de Il viaggio a Reims il clima politico di quel congresso), presentata in prima esecuzione assoluta nell’edizione critica della Fondazione Rossini, diretta da Donato Renzetti e cantata da Darina Takova, Manuela Custer, Carlo Lepore e Mario Zeffiri; e una preziosa Petite Messe Solennelle concertata da Michele Campanella con Darina Takova, Daniela Barcellona, Antonino Siragusa, Marco Vinco e il Coro da Camera di Praga. La Cantata sarà dedicata alla riapertura del Teatro alla Scala restaurato.

L’Accademia Rossiniana selezionerà le voci idonee a sostenere gli impegnativi ruoli del Viaggio a Reims, anche quest’anno prescelta come tribuna ideale per illustrare le qualità di giovani talenti. L’esperienza scenica della recitazione verrà curata da Henning Brockhaus, che allestirà una nuova messinscena di quest’opera-simbolo della manifestazione pesarese.

    Alberto Zedda, direttore artistico del ROF  

© Zedda-Vázquez