Quando, nel 1993, il Rossini Opera Festival allestì per la prima volta Armida, con la sensazionale regia di Luca Ronconi e la presenza di una carismatica Renée Fleming, provai all’ascolto uno smarrimento di stupore e incredulità: la musica esulava dai parametri che la mia familiarità con Rossini aveva tracciato con supponente sicurezza e non fui in grado di valutare se la visionarietà dell’assunto attestava una nuova dimensione del genio o una caduta nell’utopia velleitaria. Ho impiegato anni (e assimilato altre opere napoletane gravide di futuro come Ermione, Otello, Maometto II, Zelmira) per trasformare quel turbamento nella felicità di scoprire un linguaggio capace di coniugare l’astrazione della fantasia onirica con la realtà di sentimenti umani, resi estremi dalla febbre della poesia. Non fui il solo a provare emozioni inusitate: ricordo le discussioni discese da una regia che, consapevole della novità e della valenza dirompente del messaggio, aveva imboccato il cammino della libertà inventiva per situare l’amore di Armida e Rinaldo in un altrove imprecisabile. Ronconi si mostrò non interamente soddisfatto del risultato, ripromettendosi di ripetere la sfida, oggi alfine avviata con la collaborazione di Ugo Tessitore, di Margherita Palli per la scenografia e di Giovanna Buzzi per i costumi, sfida resa ancor più difficile dalla generosità di consentire, per il mitico ruolo della protagonista, il debutto di una giovane spagnola, Carmen Romeu, che nel certame di una recente Accademia Rossiniana ha mostrato talento e determinazione sufficienti per vincere. La sosterranno, ancora, la solida bacchetta di Carlo Rizzi e la sedimentata esperienza di Antonino Siragusa, Dmitry Korchak, Randall Bills e Carlo Lepore, oltre all’Ensemble di danza della Compagnia Abbondanza / Bertoni.
Un altro regista di cartello, Mario Martone, che insieme allo scenografo Sergio Tramonti e alla costumista Ursula Patzak a Pesaro ha colto successi indiscussi con Matilde di Shabran e Torvaldo e Dorliska, darà vita, insieme a Tramonti e Patzak, alla penultima opera di Rossini non ancora apparsa sui palcoscenici del Rof, Aureliano in Palmira. L’opera verrà diretta dallo stesso curatore dell’edizione critica all’uopo approntata dalla Fondazione Rossini, Will Crutchfield, concertatore anche di una non dimenticata Ciro in Babilonia nella quale, al fianco di Ewa Podles, trionfarono Jessica Pratt e Michael Spyres, la medesima coppia che quest’anno interpreterà Aureliano in Palmira. In quest’opera si trova l’unico ruolo composto da Rossini per un castrato: Arsace, destinato a Giambattista Velluti, l’ultimo evirato all’epoca in attività. Il ruolo verrà affidato alla mezzosoprano Lena Belkina (Cenerentola, in una reclamizzata realizzazione televisiva della fiaba), rifiutando la discutibile consuetudine di sostituire il castrato con un controtenore: la voce del castrato, pur alterata dalla orchiectomia, conservava un’emissione naturale (e, di quella, la potenza e l’estensione), mentre il sopranista deve ricorrere all’artificialità del falsetto, flebile nel registro centro-grave (e dunque difficile da equilibrare con le altre voci del reparto).
La terza opera, Il barbiere di Siviglia, profitta dell’universale notorietà per rinunciare a un dispendioso allestimento scenico, fidando nel brio contagioso dei suoi interpreti (Chiara Amarù, Florian Sempey, Juan Francisco Gatell, Paolo Bordogna, Alex Esposito, con il direttore Giacomo Sagripanti), obbligati al contatto diretto col pubblico da un’esibizione concertistica, solo animata dalle trovate di altri giovani coinvolti nel progetto, gli allievi della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino istruiti da Francesco Calcagnini.
Come sempre, l’Accademia Rossiniana esibirà i migliori elementi nello storico Viaggio a Reims, divenuto autorevole trampolino per talenti laureati da intenditori che accorrono, ogni anno più numerosi, per assistere alla nascita del firmamento rossiniano di domani. Al recital di belcanto di Juan Francisco Gatell, si aggiungeranno due concerti con orchestra: il primo, diretto da Carlo Tenan, celebra il ritorno della grande Ewa Podles; l’altro, affidato al canto delle dive debuttanti, Carmen Romeu e Lena Belkina e alla bacchetta di Noris Borgogelli, rievoca il fascino dei rossiniani duetti amorosi.
Giunto alla sesta sessione, si avvia alla conclusione, prevista l’anno prossimo, il ciclo di concerti organizzati dall’Ente Concerti di Pesaro in collaborazione con il Rossini Opera Festival e la Fondazione Rossini dedicati all’esecuzione integrale dei rossiniani Péchés de vieillesse. È la prima volta che si realizza una simile, monumentale impresa: in passato il Rof aveva programmato l’integrale dei Péchés per pianoforte e, nei concerti di belcanto, una parte di quelli per voce e pianoforte; mai si erano ascoltati gli eclettici exploit dedicati alle voci in concento, in formazioni solistiche (duo, trii, quartetti) o corali, accompagnati, oltre che dal pianoforte, da inusuali strumenti (harmonium, tamburi, tam-tam, clochettes, violino, violoncello…). Vengono eseguiti seguendo un percorso tracciato da Massimo Fargnoli, direttore dell’Accademia Pianistica Napoletana, anche partner nella coproduzione del ciclo. L’ascolto ha confermato lo straordinario interesse di queste pagine che racchiudono il testamento artistico, le confessioni segrete di un autore grandissimo sopravvissuto per decenni alla lacerante decisione di abbandonare il teatro musicale dopo averlo condotto a una svolta epocale.
Queste composizioni, enigmatiche già nelle sorprendenti titolazioni (Choeur de chasseurs démocrates, Prélude convulsif, Hachis romantique, Étude asthmatique, Spécimen de mon temps, Spécimen de l’avenir, Valse anti-dansante, Impromptu tarantellisé…) hanno disorientato il pubblico, preso dalla bellezza di pagine di alta ispirazione ma anche da tante altre gravide di messaggi cifrati, derivandone l’inquietudine di criptici segnali, possibile chiave dei misteri che velano la figura di un personaggio inafferrabile. L’esplorazione di questo imponente corpus musicaesarà alto titolo di merito per il musicologo che avrà la pazienza di decrittarne gli intricati risvolti.
Oltre alla menzionata lezione critica dell’Aureliano in Palmira, due altre importanti edizioni della Fondazione Rossini, fresche di pubblicazione, troveranno nel Festival la prima esecuzione assoluta: le giovanili Sei sonate a quattro, per gli archi prestigiosi di Salvatore Accardo, Laura Gorna, Cecilia Radic e Franco Petracchi; e la Petite messe solennelle, cantata da Olga Senderskaya, Veronica Simeoni, Dmitry Korchak, Mirco Palazzi e diretta da Alberto Zedda, con la consueta videoproiezione in Piazza.
L’adozione della nuova edizione critica per l’esecuzione della Petite messe non impedisce di ricorrere legittimamente a scelte interpretative specifiche: l’impossibilità di disporre del Grand’organo introdotto da Rossini nella strumentazione della partitura (strumento poderoso che peraltro renderebbe ancor più precario l’equilibrio sonoro col coro, impegnato a cantare sempre in un registro medio-basso) costringe a cercare alternative. In assenza dell’organo, il Prélude religieux che precede il “Sanctus”, prescritto per questo strumento, verrà presentato in una veste strumentale da me realizzata. È difficile comprendere perché Rossini abbia tralasciato di strumentare questa stupenda pagina (l’unica sottratta all’obbligo di accompagnare il canto!), creando un imbarazzante scompenso fonico fra gli otto minuti del Prélude religieuxe i quattro minuti del successivo “Sanctus”, destinato alle sole voci a cappella, con il resto della partitura, affidato a una grande orchestra. Ho pensato che una delle ragioni che possono aver indotto Rossini a rimandare l’orchestrazione del Prélude risiedesse in un problema tecnico contingente. Il brano inizia con un tema fugato, che la tradizione classica vorrebbe enunciato da un solo strumento: esclusi taluni archi, nessuno degli strumenti adoperati da Rossini nelle sue opere sarebbe stato in grado di esporre interamente quel tema, che dall’acuto al grave spazia per una estensione di insolita ampiezza. Se non fosse sopravvenuta la morte, il Maestro avrebbe probabilmente trovato il modo di ricorrere a qualche Corno di bassetto (o Clarinetto di bassetto) acconciati all’uopo. Oggi il Clarinetto basso (e il Saxofono tenore) possono farlo egregiamente, fornendo il colore espressivo appropriato a questa pagina sublime.
Il Festival 2014 registra l’eccezionale presenza di due formazioni sinfoniche di estrazione marchigiana: l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, già ospite del Rof in precedenti edizioni della manifestazione, e la Filarmonica Gioachino Rossini, per la prima volta invitata.
La presenza di due orchestre, entrambe operanti in Pesaro, è la concreta e beneaugurante dimostrazione di quanto sia cresciuto il livello musicale di questa città che a giusto titolo aspira a diventare una Capitale della musica. L’Orchestra Sinfonica G. Rossini interverrà nell’impegnativa realizzazione dell’Aureliano in Palmira e nell’accompagnamento dei Duetti amorosi; la Filarmonica Gioachino Rossini darà suono al Viaggio a Reims e al concerto Podles.
L’Orchestra e il Coro del Teatro Comunale di Bologna (quest’ultimo guidato dal maestro Andrea Faidutti) continueranno ad assicurare un contributo sostanziale al successo del Festival facendosi carico di Armida e della Petite messe solennelle, mentre il Coro San Carlo di Pesaro (con il maestro Salvatore Francavilla) esordirà nel Barbiere di Siviglia.