I documenti che consentono di identificare i bravi nei quali si articolava la Cenerentola presentata in prima esecuzione al teatro Valle la sera del 25 Gennaio 1817 sono:
- Il libretto princeps, stampato a Roma da Crispino Puccinelli, una copia del quale è conservata nel Fondo Michotte della Biblioteca del Conservatorio di Bruxelles.
- Il manoscritto esistente presso I’ Accademia Filarmonica di Bologna, in gran parte autografo.
- Le partiture manoscritte e gli spartiti per canto e piano che costituiscono il corpus delle fonti dell’opera.
- Le memorie di Jacobo Ferretti, librettista della Cenerentola.
- Le cronache dell’epoca.
La successione di arie e pezzi d’assieme che si ritrova è la seguente:
Atto Primo
1. Sinfonia. Mi bemolle Mag.
2. Introduzione, “No, no, no, no”. Sol Mag.
3) Recitativo e Cavatina, “Miei rampolli feminini”. Do Mag.
4) Recitativo, Scena e Duetto, “Un soave non so che”. (Mi Mag.) La Mag.
5) Recitativo, Coro e Cavatina, “Scegli la sposa”. Fa Mag.
6) Recitativo e Quintetto, “Signor, una parola”. Do Mag.
7) Recitativo e Aria, “Vasto teatro è il mondo”. Mi bemolle Mag.
8) Recitativo e Finale Primo, “Conciosiacosacché”. Re Mag.
Atto Secondo
9) Coro, “Ah, della bella incognita”. La Mag.
10) Recitativo e Aria, “Sia qualunque delle figlie”. Re Mag.
11) Recitativo, Scena e Aria, “Si, ritrovarla io giuro”. Do Mag.
12) Recitativo e Duetto, “Un segreto d’importanza”. Sol Mag.
13) Recitativo, Canzona, Recitativo e Temporale. Re min.
14) Recitativo e Sestetto, “Siete voi”. Mi bemolle Mag.
15) Recitativo e Aria, “Sventurata! mi credea”. Mi bemolle Mag.
16) Recitativo, Coro, “Della fortuna instabile”. La Mag.
17) Scena e Rondò Finale, “Nacqui all’affanno”. Mi Mag.
Dalle fonti musicali concordi e dalle cronache si desume che la sinfonia posta ad apertura della Cenerentola fu la stessa utilizzata da Rossini per l’opera La Gazzetta andata in scena l’anno precedente al San Carlo di Napoli. Non sussistono dubbi circa l’eventuale esistenza di altra ouverture pensata da Rossini per la Cenerentola romana. L’autografo della Sinfonia si trova a Napoli nella Biblioteca del Conservatorio, unito all’opera completa La Gazzetta, mentre nel manoscritto di Bologna è allegata soltanto una parte non autografa di violoncello e contrabbasso, per guida del direttore, ripetendosi identica la situazione già riscontrata nell’autografo del Barbiere di Siviglia.
Nessun problema sorge per i numeri 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 16 che Rossini ha scritto per intero (ad eccezione dei recitativi) e che si ritrovano nel manoscritto di Bologna in una stesura accurata e ricca di indicazioni interpretative. Soltanto nel N. 12, Recitativo e Duetto “Un segreto d’importanza”, il testo del primo libretto e le parole musicate da Rossini presentano qualche apprezzabile differenza: nel libretto si contano una quindicina di versi non utilizzati dal maestro. La numerazione autografa dei fogli di questo Duetto appare alterata : il Vivace con cui termina, dapprima numerato 4 – 7, fu poi cambiato in 6 – 9. In origine dunque la prima parte doveva constare di tre fogli anziché degli attuali cinque (il quinto di una sola pagina — due facciate, invece delle normali due pagine — quattro facciate) e i versi musicati dovevano essere ancor meno numerosi. A questi mutamenti può ben riferirsi l’episodio riportato dal Ferretti nelle sue memorie: “Quel magnifico cimarosiano duetto fra i due buffi fu terminato nella notte che precedeva la prima comparsa dell’opera e fu provato nella mattina e quindi fra un atto e l’altro del melodramma, in tempo che i comici del Bazzi recitavano l’atto secondo del Ventaglio di Goldoni”.
Come già accennato, i recitativi non sono autografi ad eccezione di poche battute nel corso del N. 13. La loro sciatta mediocrità ne esclude l’attribuzione a Rossini: pieni di scorrettezze di ogni genere per quanto attiene all’accentuazione della parola e alla divisione sillabica, sono ritmicamente monotoni e men che convenzionali nel giro armonico, difetti che scompaiono nelle pochissime battute dove Rossini interviene. Sono dovuti in gran parte a uno stesso copista, riconoscibile nei recitativi dei numeri 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, II, 12, 13, 15 e 16.
L’Aria di Clorinda “Sventurata! mi credea”, il N. 15 dell’elenco, esiste nel manoscritto di Bologna ma non vergata da Rossini. All’esame musicale appare lontana dagli stilemi rossiniani e mette in luce una desolante povertà di ispirazione, un manierismo di basso mestiere tali da escluderne l’attribuzione a Rossini. Intervengono a orientarci le fonti letterarie. Scrive sempre il Ferretti, per attestare l’incredibile rapidità con la quale l’opera era stata composta, ” …e notate, o signori, che, tranne l’aria del Pellegrino (Alidoro) e l’introduzione dell’Atto Secondo e l’Aria di Clorinda, che vennero affidate al maestro Luca Agolini, detto Luchetto Lo Zoppo, il resto fu tutto scritto da Rossini”. La notizia è confermata dalla “Galleria Teatrale”, periodico romano del tempo. L’Aria di Clorinda che si trova nel manoscritto bolognese rivela la stessa grafia del già citato copista estensore di gran parte dei recitativi. Trattandosi del manoscritto originario è molto probabile che autore e copista si identifichino nella stessa persona: il compositore romano Luca Agolini risulterebbe cosi anche autore di gran parte dei recitativi. Quest’Aria di Clorinda compare raramente in altre fonti musicali e sarebbe probabilmente uscita presto dall’uso se taluni editori non l’avessero pubblicata senza far menzione del diverso nome dell’autore, indirettamente attribuendola allo stesso Rossini.
Dell’Aria di Alidoro, N. 7, il manoscritto di Bologna presenta una versione, non corrispondente al testo che si legge nel libretto princeps, il cui incipit è “Fa silenzio, odi un rumore”. La scrittura è di una terza persona; l’autore, a tutt’oggi non identificato, sicuramente non è Rossini: l’aria è brutta, orchestrata male e piena di scorrettezze impensabili in un professionista di vaglia. Essa non compare in altra fonte musicale conosciuta e non è stata mai pubblicata. Ha sostituito quella dell’Agolini in una ripresa romana della Cenerentola allestita nell’autunno del 1818 in occasione di una visita dei Reali di Napoli: per quelle recite, assente Rossini, furono fatti molti cambiamenti nel testo, sempre ad opera del Ferretti (…io spontaneamente corressi in gran parte le trivialità di parecchi recitativi…) cambiamenti che si possono riscontrare nel libretto che accompagnava le rappresentazioni (Venezia, Fondazione Cini) ma che non vennero più ripresi in altre esecuzioni dell’opera. L’Aria di Alidoro, come quella di Clorinda, si trova di rado nelle fonti musicali della Cenerentola: dove esiste è quella composta dall’Agolini “Vasto teatro è il mondo”. Anche quest’aria deve le sue fortune al fatto di essere stata inserita da alcuni editori nel corpo della Cenerentola e attribuita, more solito, a Rossini. Due anni dopo la prima rappresentazione, Rossini si trovava a Roma per apprestare la Matilde di Shabran quando ebbe luogo una delle frequentissime riprese di Cenerentola. Della compagnia faceva parte un basso egregio, Gioachino Moncada, e per lui Rossini compose un Recitativo Strumentato e Aria, splendido per ricchezza di elaborazione, virtuosismo di scrittura vocale e fantasia di spunti melodici. Grazie al Moncada Rossini scrisse cosi quell’aria di Alidoro che due anni prima aveva tralasciato, forse per mancanza di tempo o forse scoraggiato dalla mediocrità dell’artista cui la parte era destinata, e che viene opportunamente a restituire spazio psicologico e peso specifico pertinente alla fondamentale figura di un personaggio che nell’economia dello spettacolo risultava trascurato. Sempre il Ferretti ci dice perché quest’aria sia rimasta praticamente sconosciuta: “… scrissi una grand’aria morale, di cui Rossini formò un capolavoro di musica, applauditissima, ma che non venne più cantata in quel melodramma, perché gli altri Alidori non passavano mai la sconsolatissima linea della mediocrità, e quell’aria non è per mediocri”. Non tener conto oggi di questa composizione, il cui bellissimo autografo è conservato a Pesaro presso la Fondazione Rossini, è impensabile. La partitura d’orchestra dell’aria di Alidoro viene ora pubblicata per la prima volta mentre la riduzione per canto e pianoforte fu già inclusa in una raccolta di arie per baritono pubblicata a Parigi da Brandus et Cie nel 1855 circa e fu ristampata da Ricordi, a cura di Alberto Cametti nel 1917.
Resta da dire del N. 9, Il Coro di Cavalieri che apriva il secondo atto, terzo dei pezzi menzionati dal Ferretti e attribuiti all’Agolini. Il coro, che non esiste nel manoscritto di Bologna, è scomparso da tutte le fonti musicali tranne una (Roma, Biblioteca di Santa Cecilia, partitura manoscritta G. MS. 685-86). Anche questo coro, condotto con andamento omoritmico e scontato nelle modulazioni, non è composizione di particolare pregio.
Ripercorrendo il cammino della Cenerentola attraverso i vari libretti, specchi fedeli delle tante successive rappresentazioni, si nota che i tre pezzi non di Rossini sono stati quasi sempre soppressi o sostituiti, anche in riprese allestite con la collaborazione certa del maestro. In particolare si osserva che il Coro del secondo atto (N. 9) è scomparso in tutti i libretti tranne uno del 1817 (Bologna) e due del 1818 (Lucca e Ancona); che dell’Aria di Alidoro (N. 7) rimane in genere il solo recitativo che la precede; che l’Aria di Clorinda (N. 15) il più delle volte manca o è stata sostituita con altra di svariata provenienza, affidata talora a Tisbe.
Della Cenerentola ho curato una revisione per Casa Ricordi in occasione di un recente allestimento dell’opera al Maggio Musicale Fiorentino. La revisione, condotta sugli autografi di Bologna, Pesaro e Napoli, è essenzialmente critica piuttosto che diplomatica in quanto non si limita a trasferire la lezione rossiniana come appare nei testi ma ha eliminato sviste e contraddizioni, colmato lacune e corretto approssimazioni, esteso indicazioni interpretative secondo i parametri già adottati per la recente edizione del Barbiere di Siviglia. Queste operazioni, le più delicate per il revisore, non presentano qui troppi rischi grazie alla completezza dell’autografo rossiniano, abbondante di suggerimenti ripetuti sovente ad ogni variazione del disegno musicale e non intorbidato da pentimenti e ripensamenti. Una grande distanza separa tuttavia questa revisione da una vera e propria “Edizione Critica”. Le risposte del revisore agli interrogativi posti dall’autografo, al solito numerosissimi, andrebbero verificate sulle fonti e giustificate nelle note di un apparato critico, lavoro di raffronto compiuto solo in parte. Le fonti della Cenerentola, comprese nell’arco di anni che va dalla creazione dell’opera alla morte di Rossini, assommano a una ventina di partiture manoscritte più o meno complete; a qualche centinaio di pezzi sciolti; ad alcune parti d’orchestra sopravvissute alle prime esecuzioni romane; a una quindicina di edizioni di spartiti per canto e pianoforte. Inesistenti sono invece le partiture a stampa i cui primi esemplari sono quelli pubblicati da Ricordi (solo per il noleggio) e dalla Drei Masken Verlag di Berlino nel 1929, un arrangiamento quest’ultima da non tenersi in conto.
Volendo dare qualche esempio delle difformità più rilevanti instauratesi fra le lezioni della pratica corrente e quella dell’Autografo, prendiamo a base di un rapido confronto la vecchia Partitura Ricordi N. 2153, la più comunemente adoperata.
Vengono usate le abbreviazioni:
A – Autografo;
P.R. – Partitura Ricordi 2153.
Dei due numeri di richiamo il primo si riferisce alla pagina e il secondo alla battuta della Partitura Ricordi; di quelli in parentesi il primo si riferisce alla pagina e il secondo alla battuta dello spartito per canto e pianoforte, Edizione Ricordi N. 45707, ristampa 1961, citato per quel poco che può servire.
Delle molte note sbagliate che si leggono nella Partitura Ricordi vengono segnalate solamente quelle che modificano l’armonia dell’accordo.
N.1 – OUVERTURE
Già nell’ouverture si trovano alterazioni nell’organico strumentale: i timpani, la cassa e i piatti non esistono nell’A; il trombone è previsto solo nel Maestoso iniziale e tace poi nell’Allegro Vivace dove mal si concilia con la scrittura leggera e veloce del brano.
A 5 – 1 e seg. (1 – 15 e seg.) nella P.R. il tema dei clarinetti che inizia da questa battuta viene accompagnato da un disegno omofonico degli archi legati:
che Rossini, con molto più humor, prescrive “pizzicati”:
Si noti ancora la forcella chiusa (forcella di crescendo con un accento terminale) sostituita da una di valore opposto.
A6 – 2 (2-6) la nona nota di fagotti, II corno, trombone, violoncelli e contrabbassi è stata cambiata in Si bemolle in luogo del Sol originale. Il Si bemolle viene innaturalmente a turbare la progressione, togliendo al basso la forza imperativa dell’intervallo di quarta.
A10 – 1 (2-22) i legni presentano una contrapposizione di P e F:
che nell’A è limitata a F e FF, coloriti che consentono di non infiacchire lo slancio luminoso del’Allegro Vivace appena iniziato:
A 10 – 4-8 e 11 – 1-4 (3 – 1-8) le viole sono state portate all’ottava superiore:
per eliminare l’inconsueto effetto della “quarta e sesta”, deformando considerevolmente il senso del passo originale:
ed è stato mutato in un banale Sol bequadro il Sol bemolle che si riscontra nella risoluzione dell’ultimo trillo.
Non si comprende perché il fraseggio del frammento presentato dai clarinetti a 19 – 5-8 (4 – 44-47) e che verrà in seguito ripreso numerose volte anche da oboi e flauti sia stato cambiato così:
invece di conservargli l’unica legatura dell’A:
che risponde con assai più logica alla proposta “staccata” dell’inizio della frase:
A 27 – 4-6 e 28 – 1-3 (6 – 19-24) i coloriti che si leggono nella P.R.:
non corrispondono a quelli dell’A, tanto più efficaci:
A 35 – 13 e seg. (8 – 9 e seg.) questa frase, da Rossini affidata all’oboe, nella P.R. è stata inscritta al flauto:
A 45 – 7 e 46 – 1-3 (10 – 23-26) Rossini assegna al fagotto lo stesso disegno di violoncelli e contrabbassi, mentre nella P.R. tale disegno è stato semplificato.
N. 2 – INTRODUZIONE
A 49 – 5-7 (11 – 9-11) il colorito segnato a tutti gli strumenti nella P.R. è P:
mentre nell’A si incontra una dinamica incomparabilmente più vivace e spiritosa:
Si noti anche il fraseggio differente negli ultimi due sedicesimi, staccati e non legati.
A pag. 60 (14 – 21) l’indicazione Allegro ha sostituito impropriamente quella autografa di Tempo Primo, che rinvia all’iniziale Allegro con Brio.
A 65 – 8 (16-15) l’ultima terzina dei primi violini è stata eguagliata a quella del flauto e del clarinetto:
mentre nell’A è:
disegno più che giustificato dall’andamento con cui i primi violini proseguono nelle battute successive.
A 67 – 7 (17-12) l’A presenta chiaramente l’indicazione di “arco” a violini, viole, violoncelli e contrabbassi che prima suonavano “pizzicato” mentre la P.R. posticipa tale indicazioni di una battuta.
A 85 – 2 e 4 e a 86 – 2 (24-14, 16 e 18) questo disegno in contrasto con l’andamento ritmico prevalente:
è stato derivato, non si sa come, da questo autografo:
A partire dal 99 – 1 (31-4) nella P.R. l’ottavino viene raddoppiato da un flauto inesistente nell’A, aggiunto sino a 105 – 1 (35-4). Tale abusivo raddoppio è poi ripreso a 115 – 1 (140-6) e mantenuto sino alla fine del pezzo. Anche nell’organico strumentale dell’introduzione sono stati aggiunti timpani, cassa e piatti.
N. 3 – CAVATINA DI DON MAGNIFICO
A 136 – 7 e 8 e A 137 – 1 e 2 (51 – 9-12) nella P.R. i flauti procedono in ottava anziché all’unisono come nell’A, notazione forse più curata ma non per questo meno ingiustificabile. Ancora in queste battute le parole segnate a Don Magnifico sono “col ci, ci, ciu, ciu di botto mi veniste a risvegliar”, che sottintendono una differenza di tono e di comportamento fra Clorinda e Tisbe.
A pag 138 (52-2) il FF della terza battuta nell’A è preceduto da una forcella di crescendo che parte dal PP segnato due battute prima.
A 140 – 7 (53-1) le parole:
“La campana suona a festa?
Allegrezza in casa è questa”
sono state inopportunamente cambiate in:
“La campana suona a festa?
Allegria in casa mia”
guastando l’armonia della rima.
A pag. 145 (54 – 15), dopo la quinta misura, si trovano sei battute inesistenti nell’A e aggiunge per creare al brano una simmetria che opportunamente Rossini aveva voluto evitare.
A 148 – 2 e seg. (55 – 14) sino alla fine della Cavatina i flauti, nell’A prescritti in terza, sono erroneamente indicati all’unisono.
Sempre a 148 – 2 (55 – 14) nella P.R. è segnato un F che rimane immutato sino alla fine dell’aria, mentre nell’A vi è una gran varietà di coloriti, abituali nei passi cadenzanti rossiniani.
N. 4 – SCENA E DUETTO CENERENTOLA E RAMIRO
A 153 – 2-5 (59 – 1-4) sono dimenticati i clarinetti, che pur suonano in un passo analogo di 156 – 3 e 4 (59 – 15 e 16)
e l’ultima battuta è stata così cambiata:
A 154 – 1 (59 – 5) si incontra un crescendo che nell’A si trova soltanto due battute più avanti: anche i coloriti successivi non corrispondono a quelli di Rossini.
A 156 – 7 (60-4) bolina, viole, violoncelli e contrabbassi continuano a suonare “pizzicato” mentre nell’A è chiarissima la prescrizione di “arco”. Nella stessa battuta la parte di Ramiro è:
invece dell’originale:
ben più interrogativa e inquieta.
A 157 – 4 (60-11) la figurazione di Ramiro è stata cambiata così:
invece di:
dove la sequenza dei Fa diesis viene intelligentemente interrotta.
L’Andante Grazioso che si legge a pag. (61 – 10) sostituisce il più pertinente Andantino Grazioso dell’A e la celebre frase di Ramiro che qui inizia:
ha perso lo charme del suo delizioso fraseggio originale:
A 165 – 4 e 166 – 1 (64-7 e 8) sono stati dimenticati i flauti, che devono raddoppiare gli altri legni.
A 170 – 2 (66-9) insieme agli archi deve suonare il fagotto come si verifica poi a partire dalla battuta seguente.
A 171 – 6 (67-6) Cenerentola canta:
invece del più logico:
dell’A. Da notare ancora la differenza con l’accurato fraseggio rossiniano.
A pag. 173, a partire dall’ottava battuta (168 – 5), i fagotti che secondo l’A dovrebbero procedere all’unisono coi violoncelli sono stati dimenticati per sei battute.
A 180 – 6 e 181 – 1 e 2 (71 – 10-12) il passo dei primi e secondi violini è stato così modificato:
per eliminare l’urto che la prima nota di ogni quartina produce col nuovo accordo:
esempio insigne di “correzione” miope e ottusa.
N. 5 – CORO E CAVATINA DANDINI
Anche in questo brano, sin dalle prime battute l’ottavino originale è stato raddoppiato da un flauto e all’organico sono stati aggiunti timpani e gran cassa.
A 186 – 3 e 187 – 1 (74- 7 e 8) si può cogliere un esempio emblematico della sommarietà con la quale talvolta sono state rese le preziose indicazioni interpretative di Rossini. La P.R. traduce così:
l’accurato fraseggio dell’A:
A 193 – 6 e 194 – 1 (76 – 11 e 12) Dandini ha cambiata così la sua parte:
al posto dell’originale:
Nella prima battuta il cambiamento è certo dovuto al desiderio di facilitare la respirazione al cantante mentre per il disegno virtuosistico si deve pensare a un ennesimo intervento pedante per “correggere” Rossini. In questo caso si trattava di far tornare il conto della divisione ritmica, che in effetto nell’A non quadra: ma la corona, indice di libera cadenza, affranca il passo dal rigore della matematica.
A 202 – 1 e 5 (79 – 4 e 8) ottavino, oboi e clarinetto hanno un solo accordo in battere anziché i tre riscontrabili nell’A, contravvenendo alla logica strumentale suggerita dagli “sforzati”, coloriti che mancano nella P.R.
Ancora a 202 – 1 (79-4) la parte di Dandini è stata arbitrariamente modificata:
rispetto a quella che si rivela nell’A:
N. 6 – QUINTETTO
In tutta la prima parte di questo Quintetto, da pag. 229 (93 – 8) a pag. 225 (103 – 3), mancano nella P.R. coloriti e fraseggi così importanti da cambiare sostanzialmente la vita espressiva della musica, più vicina nell’originale alla sfumature psicologiche dei personaggi. L’Allegro iniziale offre un esempio illuminante del concetto nuovissimo e squisitamente moderno con cui Rossini impiega le indicazioni interpretative avendo ben presenti la situazione scenica e il senso della parola, sottolineate come mai in passato. Le differenze fra l’A e la P.R. sono talmente numerose da impedirmi di riportarle.
A 255 – 3 e 4 e a 256 – 1 (103 – 3-5) si incontra uno svarione macroscopico: il collegamento fra l’Allegro e il successivo Moderato (non Allegro Moderato come stampato dalla P.R) risulta:
mentre dovrebbe essere:
Il tema che compare la prima volta ai violini a 256 – 4 (103 – 8):
nell’A presenta una diversa figurazione ritmica:
e le terzine di ottavi che completano la frase sono staccate anziché legate.
A 262 – 1 (105-11) Dandini ha:
Quanto meno banale il dettato rossiniano:
che si discosta da una iterazione ritmica insistita e rispetta l’accento della parola!
All’Andante che inizia a pag. 264 (106) è Dandini non Don Magnifico a cantare le prime sei battute: cosa perfettamente logica perché propio lui, Dandini, cui il travestimento prestigioso consente di “osservare” il mondo da un angolo visuale eccitante, deve dare inizio al gioco dell’indagine. L’inversione della parte fra Dandini e Don Magnifico si protrae sino alla nona battuta dell’Allegro Vivace, a 271 – 4 (110-7).
A partire da questo Allegro Vivace, a 270 -2 (109-6), di nuovo l’ottavino viene raddoppiato da un flauto non autorizzato. Anche i timpani vengono aggiunti: qui senza cassa e piatti.
A pag. 300 la P.R. segna Fine del Primo Atto, indicazione che sottolinea una illegittima divisione dell’opera in tre atti, in contrasto con la volontà di Rossini e con la pratica del tempo.
N. 8 – FINALE PRIMO
Ancora nel Finale Primo all’ottavino si aggiunge un flauto non previsto. Dove poi l’A prescriverà “flauto”, sarà l’ottavino a raddoppiarlo abusivamente. E non ci si è limitati a unire i due strumenti con un semplice raddoppio di parti: sovente si è aggiunta una linea melodica inesistente per farli procedere in terza o in sesta. Altrove l’ottavino “solo” è sostituito col flauto “solo”, magari portato all’ottava superiore. Come al solito vengono poi aggiunti timpani, cassa e piatti.
A 320 – 1 (137-7) i corni hanno:
anziché:
e a 320 – 9 (137-15) i clarinetti, incoerentemente:
invece di:
A pag. 321 (137 – 33) il tema che espongono violini primi e clarinetti:
presenta una legatura di valore, inesistente nell’A:
che toglie mordente e vivacità.
A 332 – 4 (138-8) nella P.R. la prima nota dei tenori e bassi del coro è Fa mentre il Re dell’A determina una partenza ben diversamente scandita dal forte intervallo di quarta giusta.
Da 352 – 1 a 353 – 2 (149-3 a 149-8) nell’A tutte le note di ottavino, oboi e clarinetti sono collegate da legature di valore mentre nella P.R. vengono ribattute ad ogni misura. Lo stesso vale per l’analogo passo da 356 – 1 a 357 – 2 (150-8 a 151-1).
Anche nel corso del Vivace che inizia a pag. 346 (153) le differenze di fraseggio fra P.R. e A sono particolarmente numerose e significanti: in genere Rossini propende per un impiego ancora più esteso dello staccato.
A 390 – 2 – 5 (163 – 1-4) la parte segnata dalla P.R. agli oboi nell’A è prescritta ai clarinetti. Sempre a pag. 390 (163) i violini e le viole nell’A hanno una legatura che copre le battute 3 – 5 (2-4).
A pag. 406 manca una battuta: nell’A viene ripetuta la seconda (169 – 11). Sempre a pag. 406 (169), nell’ultima battuta le trombe hanno:
invece di:
variazione quest’ultima che introduce assai meglio il successivo Moderato di pag. 407 (170).
Il coro che inizia a 407 – 1 (170-1):
presenta nell’A armonie diverse:
A 408 – 7 (170-15) il trombone, indicato nell’A all’unisono col basso, è scomparso nella P.R.
A 408 – 8 e 9 (170 – 16 e 17) l’esclamazione di Clorinda e Tisbe:
trova un Rossini ben altro accento di sorpresa e stupore:
La figurazione ritmica che si scorge a 428 – 2 e 3 (177 – 2 e 3)
è travisata rispetto all’originale:
A 429 – 4 (177 – 8) la cadenza virtuosistica di Cenerentola:
è ben diversa da quella che si ricava dall’A:
A 430 – 3 e A 431 – 2 (177 – 11 e 178 – 2) i primi violini:
secondo l’A devono essere invece:
A 432 – 1 (178 – 6) la cadenza di Ramiro:
è diversa da quella voluta da Rossini:
A 433 – 1 (178-11) il vocalizzo di Dandini:
si discosta notevolmente da quello autografo:
A 434 – 4 (179-6) è ancora Dandini:
a non rispettare il dettato rossiniano:
La frase melodica che parte a 436 – 1 (180-1) esposta da Clorinda:
ha subito profonde modificazioni strutturali rispetto all’A:
A 437 – 5 (180 – 9) la risposta di Ramiro:
non risulta meno alterata al confronto con l’originale:
Le profonde manomissioni alla parte vocale continuano ininterrotte sino a pag. 441 (182), così numerose da non potersi riportare.
A 445 – 2 e 446 – 1 (184 – 1 e 2) la parte del trombone deve corrispondere a quella del secondo corno e non a quella di violoncelli e contrabbassi.
A 446 – 2 e 3 (184 – 3 e 4) le note dei primi violini e del flauto:
sono in realtà:
Nella Stretta del Finale Primo, al Vivace che parte da pag. 456 (190) si contano varie alterazioni nel tessuto strumentale: i fagotti hanno note sbagliate; le trombe mancano o hanno parti diverse; gli oboi procedono a doppie note anche dove sono prescritti all’unisono; i clarinetti ribattono per più misure note che dovrebbero essere legate; timpani, cassa e piatti sono stati aggiunti al solito senza altra ragione che quella di aumentare il frastuono; ma soprattutto i due ottavini, così tipicamente rossiniani, pettegoli e penetranti, sono stati sostituiti, sino alla fine dell’atto, con due flauti.
N. 10 – ARIA DI DON MAGNIFICO
A 504 – 7 e seg. (230 – 4 e seg.) il disegno dei secondi violini e delle viole viene legato, mentre nell’A è staccato.
A 516 – 3 e seg. (235 – 12 e seg.) non è chiaro perché ai clarinetti non sia stato conservato lo stesso fraseggio degli ottavini, come nell’A, preferendogli una sequenza di quartine legate.
A 517 – 2 (236 – 4) i contrabbassi presentano nella P.R. una parte semplificata (la stessa dei violoncelli ma a valore doppi) non autorizzata dall’A.
A 519 – 2 (237 – 4) il fraseggio originale di violini primi, ottavino e clarinetto è “staccato” anziché “legato”.
Quest’aria di Don Magnifico venne spesso tagliata, il che può aver contribuito a preservarla dalle ingiurie dell’uso. Infatti appare più corretta delle altre e le manomissioni sono meno numerose.
N. 11 – ARIA DI RAMIRO
A 527 – 3 (243 – 10) le parole che si leggono a Ramiro nella P.R.: “E allor… se non ti spiaccio, allora m’avrai. Quai misteri son questi?” nell’A sono: “E allor… se non ti spiaccio, allora m’avrai? Quali accenti son questi?”.
Alla seconda battuta dell’Allegro di pag. 529 (244 – 15) non esiste nell’A il P segnato ai legni, colorito che smorza innaturalmente l’impeto della sortita degli ottoni.
A 532 – 1 (243-11) e A 535 – 4 (246-7) nella P.R. è stato dimenticato il trombone.
A 539 2-4 (247 -9-11) le viole “divise” dovrebbero avere doppie note legate, inesistenti nella P.R.
A 539 – 5 e 7 (247 – 12-14) nella P.R. Ramiro ha questa figurazione ritmica:
invece di questa:
errore che viene ripreso da flauto e clarinetto a 539 – 6 e A 540 – 1 (247 – 13 e 15).
A 540 – 2 (247 – 16) Ramiro si discosta così:
dalla versione dell’A:
A 540 – 6 (248 – 41) gli archi sono stati modificati per ragioni misteriose:
abbandonando la lezione originale:
Alle battute 3-5 dell’Allegro Vivace di pag. 541 (248 – 8-10) sono stati dimenticati i bassi del coro, che devono procedere all’ottava inferiore dei tenori, e a 542 – 3 (249-1) i corni, che nella P.R. entrano soltanto alla battuta successiva.
A 556 – 5 e 6 (254 – 15 e 16) e A 558 2 e 3 (255 – 5 e 6) manca nella P.R. una efficace forcella di crescendo che conduce al FF conclusivo.
N. 12 – DUETTO DANDINI-DON MAGNIFICO
A 567 – 5 e 6 (260 – 4 e 5) la figurazione ritmica del tema esposto da lauto e clarinetto, tema che ricorrerà più volte anche in seguito, viene radicalmente modificata:
rispetto all’originale:
A 560 – 6 e A 586 – 3 (240 – 5 e 9) le acciaccature alla parte di Dandini non esistono nell’A.
L’indicazione di tempo segnata da Rossini A 279 – 1 (265 – 9) è “Vivace“, non Allegro.
A 580 – 7 (266-2) il disegno di archi e clarinetti che inizia da questa battuta:
viene alterato dall’omissione della legatura di valore:
che nell’originale dona alla frase andamento incomparabilmente più dolce ed espressivo.
A 581 – 2-5 (266 – 7-10) anziché “Non partirò”, Don Magnifico, gonfio di maestà offesa dice “Sono un barone!” cui Dandini crudamente risponde “Pronto è il bastone” invece di “Lei partirà”.
A 582 – 4 e 5 (266 – 14 e 15) i clarinetti, secondo l’A, devono avere la stessa parte degli oboi.
N. 13 – TEMPORALE
Nel Temporale la strumentazione originale viene sostanzialmente rispettata, a parte l’aggiunta dei soliti strumenti di percussione: timpani, cassa e piatti. Non così i coloriti di Rossini, che vengono caricati e più volte contraffatti.
A 600 – 3 e 4, 601 – 3 e 4, 602 – 2 e 3 e 603 – 1 e 2 (275 – 2 e 3, 6 e 7, 10 e 11, 14 e 15) nell’A non esistono forcelle né altre indicazioni di crescendo. Dopo il FF di 601 – 1 (275-4) Rossini pone invece una forcella di diminuendo che non è stata recepita dalla P.R. neppure nelle similari battute di 601 – 5 e di 602 – 4 (275 – 8 e 12).
A 605 – 1 e 2 (275 – 22 e 23) la nota superiore dei primi violini nell’A è re, non mi, prezioso arricchimento armonico.
A 608 – 1 (276 – 8) i secondi violini devono suonare all’unisono coi primi, non all’ottava inferiore come nella P.R., e a 611 – 2 (276-20) il trombone è stato omesso.
A 615 – 2(277-13) nell’A la nota inferiore degli oboi è mi, non re; e A 617 – 3 (277-22) mi e non do diesis, come la nota superiore dei clarinetti.
A 618 – 2 (277-25) il passo dei secondi violini nell’A non è:
ma:
A 615 – 9 (278-16) il primo clarinetto deve procedere alla sesta inferiore del flauto e non all’ottava.
A 620 – 2 (278-2) l’ultima nota del flauto nell’A è mi, non re.
N. 14 – SESTETTO
A 625 – 1 (282-1) è stato dimenticato il trombone.
A 627 – 1 (283 – 2) nell’A la penultima nota dei secondi violini è si bemolle e non do: come Dandini, che nella P.R. ha sol. L’armonia del frammento cambia sapore.
A 628 – 1 (283-6) nell’A l’ultima nota di violoncelli e contrabbassi è fa, non la bequadro.
A 631 2 (286-3) la seconda nota di violoncelli e contrabbassi dell’A è la bemolle e non mi bemolle.
A 636 – 1 (288-4) la quarta nota di Tisbe nell’A è sol bemolle, non la bemolle, e l’accordo degli strumenti viene modificato in conseguenza.
A 638 – 1 (290-2) deve partire un crescendo che manca nella P.R. e che conduce al FF di 640 – 1 (392-2), nella P.R. tradotto con un solo F.
A 645 – 1 (296-1) di nuovo nella P.R. manca un crescendo. Qui e nella battuta successiva è stato dimenticato il trombone, come pure a 647 – 1 e 2 (297 – 3 e 4). Sempre in queste battute non esistono nell’A le doppie forcelle di crescendo e diminuendo ai violini, indicazione che si incontra molto raramente in Rossini.
A 648 – 1 (297-10) nella P.R. sono stati omessi i corni e A 648 – 8 (298-7) manca un’importante forcella di crescendo.
A 649 – 3 (298-11) nell’A l’ultima nota di violini primi e secondi è si bemolle e non re.
A 650 – 8 (299-9) e A 652 – 8 (300-10), di nuovo nella P.R. manca la forcella di crescendo.
A 653 – 1 (301-1), per quattro battute nella P.R. è stato aggiunto il trombone che nell’A tace.
A 657 – 1-3 (302 – 7-9) il trombone che esiste nel manoscritto originale è stato invece omesso dalla P.R.
All’Andantino di pag. 658 (303), sino all’Allegro di pag. 664 (306), la stesura delle parti vocali è molto alterata rispetto a quella dell’A: i cambiamenti sono così cospicui e numerosi da renderne impossibile la citazione.
Dopi l’ottava battuta di pag. 658 (303) nella P.R. sono state soppresse due battute dell’A.
Anche la parte strumentale di questo Andante non è esente da errori e mistificazioni che contribuiscono a farne uno dei brani più alterati di tutta l’opera.
Il fraseggio dei legni che si legge nella P.R. al Vivace che inizia a pag. 674 (310) è considerevolmente differente da quello che si riscontra nell’A.
Da pag. 675 – 1 (310-9) nella P.R. il flauto è stato arbitrariamente trasportato all’ottava superiore sino a 678 – 3 (311-9) e i violini secondi sono stati portati all’ottava inferiore da 677 – 1 (311-2) a 679 – 4 (311-14).
A 675 – 4 (310-12) la parte dei violoncelli e contrabbassi deve essere uguale a quanto si legge a 675 – 2 (310-10), il che non avviene nella P.R.
A 679 – 4-9 (311 – 14-19) manca nell’A la doppia forcella di crescendo e diminuendo riportata dalla P.R.
A 684 – 1-4 (314 – 5 e 6 e 315 – 1 e 2) e A 691 – 1-4 (319 – 3-6) il trombone indicato dalla P.R. non esiste nell’A.
A 699 – 1-4 (323 – 8 e 324 – 1-3) i secondi violini nell’A sono prescritti all’unisono con le viole, non coi primi violini.
N. 16 – CORO, SCENA E RONDÒ FINALE
L’impianto strumentale presenta anche qui le solite alterazione nei flauti e ottavini, scambiati e raddoppiati a piacere, e nell’aggiunta di timpani e gran cassa.
Nell’A il FF parte da 731 – 2 (337 – 5). Non esiste quindi la forcella di crescendo segnata dalla P.R.
A 734 – 2 (338-5) Don Magnifico dice a Cenerentola “Altezza… a voi mi prostro” e non “a voi si prostra” come nella P.R., dizione che lo rende umanamente più vicino.
A 734 – 10 (338-13) l’ultima nota di Cenerentola nell’A è sol diesis, non fa diesis.
A 735 – 2 (338-15) Cenerentola ha:
invece dell’originale:
A 745 – 3 (342-4) l’ultima nota di violini primi e flauto nell’A è mi, non do, mentre in precedenza, A 734 – 7 (338-10), l’ultima nota di violini primi è si e non do diesis.
A 764 – 2 (351-4) e A 766 – 2 (352-4) nell’A si legge P seguito da forcella di crescendo che porta alla FF, alla fine della battuta successiva, coloriti dalla P.R.
La collazione con l’Autografo dimostra ancora una volta quanto scarsa attenzione si usasse dedicare ai testi operistici anche di autori maggiori, e riconferma la improrogabile necessità di sottoporre a una responsabile rilettura critica il patrimonio lirico italiano. Gli interventi ingiustificabile, i tradimenti più o meno consapevoli, le manomissioni di comodo, le ottuse correzioni non si contano, o si contano nell’ordine di cifre con molti zeri. Il tessuto dell’opera, la sua articolazione dinamica, i valori agogici, gli impasti strumentali, gli equilibri formali ne risultano sconvolti. Non è il singolo dettaglio (seppure taluno è molto più di un detaglio) ma la loro somma impressionante a sfigurare la partitura sino a snaturarla. Sarebbe ingiusto, nel ricercare le colpe di quanto avvenuto, farne carico a questo o a quell’editore. II fenomeno è generale e investe, sia pure in varia misura, l’editoria musicale di tutti i paesi, con una graduatoria di merito nettamente favorevole all’Italia.
Le cause derivano in parte dalla natura stessa del melodramma, governato dalla fretta forsennata della richiesta consumistica, inficiato dalla “licenza di cambiare” rilasciata a cantanti e impresari, condizionato dalle molte servitù contingenti (compagnie scritturate cui uniformarsi per contratto, organici strumentali e corali da rispettare, libretti scelti e imposti dai committenti, ipersensibilità di censori ecclesiastici e politici). In parte dipendono dalla mancanza di coscienza filologica, di cultura e di rigore critico di interpreti usi a considerare l’opera d’arte come un privato terreno di esercitazione divistica o paghi di accogliere supinamente il mandato di una tradizione che non sottoposta a continua verifica finisce col diventare fossile. L’assenza di stimoli culturali ha consentito the si stabilisse un assurdo divario fra i testi della musica sinfonica a da camera, assai più curati e scrupolosi, e quelli del melodramma, quasi si trattasse per quest’ultimo di produzione di seconda classe, a ha generato l’artificiosa contrapposizione fra interpreti “lirici” e “sinfonici”, “di teatro” e “da camera”, “musicisti” e “cantanti”, distinzione che dovrebbe venir considerata inquietante se troppi dilettantismi non l’avessero motivata. Un testo “certo”, che traduca il più fedelmente l’intuizione creativa del compositore, è premessa indispensabile a un serio discorso di rinnovamento interpretativo e di metodo, necessario alla formazione di una nuova coscienza critica e alla ricerca di diversi atteggiamenti stilistici. Porterà così a riconsiderare gli aspetti esecutivi, a partire dai tagli troppo spesso insensati per finire coi problemi della vocalità specifica e dello stile strumentale, non dimenticando l’esegesi dai libretti, troppe volte liquidati con sommarie condanne, banali quanto generiche (1).
Alberto Zedda
Publicato nel Bollettino del Centro Rossiniano di Studi.
Anno 1971. N. 1-2-3